Video intervista con Aleksander Nowak Presidente dell'Associazione Polacca  "Polonia Nel Cuore" di Roma


Anna Antonina Banasiak in una video intervista racconta i suoi  quarant'anni di vita in Italia senza aver mai dimenticato la storia del suo Paese.


Il professor Piotr Stepnowski, nuovo Rettore dell’Università di Danzica, ci racconta i programmi futuri dell’Università di Danzica  e il suo amore per l’Italia

La comunità accademica dell'Università di Danzica, eleggendola le  ha dato molta fiducia. Ha ottenuto questo mandato con un'ampia maggioranza di voti. Come spiega questo grande consenso elettorale?

Devo iniziare con il dire che le elezioni si sono svolte in circostanze speciali per l'Università. L'ex rettore, accusato di aver commesso una serie di plagi in opere scientifiche, si è dimesso in un clima di scandalo. È stato uno shock per tutta la nostra comunità accademica. Credo che per la maggior parte di noi era diventato chiaro che avevamo bisogno di un cambiamento decisivo nel corso universitario   che ci consentisse di imparare da una gravissima crisi organizzativa e di immagine.  Nel mio programma elettorale, ho proposto proprio questo cambiamento –coraggioso  e inequivocabile–   ma anche con la ponderatezza e i riferimenti adeguati alle migliori pratiche dell'istruzione superiore. Era di fatto necessario condividere con la comunità accademica il mio sogno di un'università aperta, diversificata e moderna.   È importante avere un profilo educativo  attraente e internazionale, nonché sviluppare lo spazio per l'attuazione della ricerca scientifica ai massimi livelli. Il risultato elettorale (104 voti a favore su 130 votanti) ha dimostrato che il sogno è stato a lungo condiviso con me  da molte altre persone.

                                                                                                                                

Cosa pensa di mettere subito in atto per dar vita al cambiamento dell'Università di Danzica?

 

Il giorno dopo essere diventato rettore, ho intrapreso una serie di attività strettamente pianificate nel campo della gestione universitaria. Abbiamo riorganizzato la composizione e le responsabilità del  vicerettore, dei vari vicerettori e dei rispettivi uffici e dipartimenti. Ciò ha permesso di porre maggiormente l'accento su settori quali l'internazionalizzazione delle università, il miglioramento della qualità dell'istruzione, la preparazione delle università alla valutazione delle attività scientifiche del prossimo anno e  l'importanza sociale delle nostre  attività. Ho inoltre istituito diverse nuove agenzie per supportare le nostre attività quotidiane, come il Centro per lo Sviluppo Sostenibile, il Centro per l'Eccellenza Didattica e il Tutorato e il Centro per  l'attività studentesca e di dottorato. Ognuno di essi ha un piano d'azione rigoroso e funzionerà in modalità  di progettazione. Abbiamo anche apportato cambiamenti fondamentali nell'amministrazione dell'università: le responsabilità e le competenze delle autorità del cancelliere sono state adattate alle esigenze più urgenti della gestione dell'università. Il nuovo cancelliere ha organizzato un team giovane e dinamico supportato da un nuovo team del questore. Tutto ciò in un breve periodo di tempo dovrebbe avere l'effetto previsto di una significativa de burocratizzazione dell'università e di una qualità del servizio completamente nuova per ricercatori e studenti. Quasi ogni giorno lanciamo una nuova iniziativa sia a livello centrale che a livello di facoltà. Ci sono  anche nuovi sostenitori del rettore responsabile dell'integrità scientifica, della parità di trattamento e della prevenzione delle molestie.  Abbiamo anche avviato il processo di cambiamento del nostro statuto al fine di ripristinare le giuste proporzioni dei poteri del rettore a favore di decani e facoltà. L'Università si manifesta nelle facoltà, non nel rettore, quindi la democratizzazione dei processi nell'organizzazione, nell'educazione e nelle attività scientifiche nelle facoltà sono una questione fondamentale. Tuttavia, sono necessarie modifiche essenziali allo statuto.   

 

Quali sono a suo avviso i punti di forza sui quali lei pensa che si possa dare vita ad una università sempre più competitiva?

 

Ce ne sono molti. L'UG è ancora  un'università molto giovane che ha molta libertà e capacità di formare, senza il peso di cattivi  schemi e  senza fraintendere la tradizione accademica.  Gli studi sulle maree, sulle   questioni marine, sia oceanografiche che    commerciali e di diritto marittimo,  ma anche gli studi storici e    linguistici sulle aree marine  e costiere sono il nostro biglietto da visita e la nostra offerta  rispetto ad altre università in Polonia. Le scienze umanistiche di Danzica si stanno sviluppando dinamicamente anche nei settori della linguistica, della letteratura, della storia dell'arte, dell'archeologia e della ricerca culturale. Abbiamo anche molte discipline giovani nelle prime fasi di sviluppo, come l'informatica pratica e l'informatica dei media, che  dopo   aver ottenuto un adeguato sostegno, aumenteranno significativamente la competitività della nostra università.

 

Quali  azioni intende intraprendere per  costruire una nuova immagine dell’Università di Danzica?

 

A livello   operativo, questo  sta già accadendo. Abbiamo istituito un Centro di Promozione e Comunicazione, che riorganizza le strategie di marketing e comunicazione dell'ateneo. Penso anche che siamo tutti d'accordo all'università di Danzica su come vorremmo essere percepiti. Tuttavia, questo è un lavoro di anni. Dobbiamo certamente compiere un grande sforzo nell’offerta dell’insegnamento nelle lingue straniere. Sono profondamente convinto che l'immagine attesa di un'università aperta e ospitale  sia data dal numero di studenti e scienziati stranieri in aumento ogni anno. Ho anche l'ambizione di creare uno spazio amichevole per iniziative tra diverse facoltà e campi scientifici sia nella didattica che nella ricerca.  Dopo tutto, sappiamo che è l'istruzione interdisciplinare o la ricerca condotta sulla terra di confine che offre grandi  opportunità per lo sviluppo scientifico ed educativo. Modificheremo inoltre, per quanto possibile, la nostra strategia di cooperazione con l'ambiente socioeconomico. Non si tratta solo di semplici servizi per le imprese, ma soprattutto di una politica di marketing e commercializzazione a lungo termine di aree selezionate della nostra attività - sempre - calcolata per anni.

 

Ci sono attualmente forme di cooperazione con le università italiane?

 

Sono decisamente troppo poche. Attualmente abbiamo firmato diversi accordi di scambio accademico, anche con le università di Firenze, Pisa, Napoli e Perugia. Mi risulta che lo scambio di studenti nell'ambito di questi accordi è ancora limitato, tenendo conto delle opportunità presso l'Università di Danzica e le università partner. Ci sono anche molti contatti informali tra scienziati dell'Università di Danzica e l'Italia nell'ambito di ricerche scientifiche o progetti di ricerca congiunti. Mi auguro che queste relazioni si rafforzeranno  in modo significativo lanciando l'italiano all'UG nel prossimo futuro, non solo come studio della lingua, ma nella più ampia formula di studio della lingua e della cultura italiana. Alla fine di questo mese incontrerò il mio caro amico, l'ambasciatore italiano in Polonia, Aldo Amati, che mi ha offerto la sua assistenza istituzionale al riguardo.     

 

  

Ha sempre dichiarato apertamente di amare l'Italia per l'arte e l'architettura del Rinascimento, per la cultura e la lingua italiana. Quando  e come ha avuto  inizio  il suo amore per l'Italia?

 

Sì, lo ammetto - amo l'Italia, l'arte italiana, la cultura... e la cucina!  Provengo  da una famiglia dove, prima di andare per la prima volta in Italia, sono cresciuto in uno spirito di grande fascino per l'antichità e l'antica Roma. Mio nonno, un avvocato prebellico, con una importante istruzione  classica, era dotato di una fluente conoscenza del latino e del greco e di un incrollabile amore per l'antichità, che ha riversato su di me con successo, anche sotto il duro comunismo. Pertanto, durante il mio primo viaggio in Italia a metà degli anni '80, nonostante la totale mancanza di denaro, e quindi la possibilità di visitare la maggior parte dei musei o di provare  la cucina italiana, ho sentito quasi subito che era il mio posto. Ma per sempre mi sono innamorato dell'Italia durante il mio tirocinio scientifico di sei mesi nel 1999 presso il Centro Ricerche Mare ENEA di La Spezia.  È stato un periodo straordinario. I miei capi dell'istituto mi hanno dato molta libertà,    che mi ha permesso di utilizzare quasi ogni fine settimana per viaggiare in diverse città e regioni d'Italia. Sono diventato anche amico di molti italiani all'epoca...  e ho anche iniziato a parlare un po' di italiano e a cucinare. Da allora, praticamente ogni anno, nel peggiore dei casi ogni due anni, atterro nella mia amata Italia, dove scopro ancora nuovi posti. 

Certo, in linea con la tradizione di famiglia, il "fascino italiano" ha contagiato i miei figli, che, come me, sono diventati amanti dell’Italia. Amo la pittura e l'architettura rinascimentale, ma amo anche il Bernini barocco e la sua eredità romana. Sempre, tutto questo mi commuove profondamente, e quando  percorro i corridoi dei miei amati musei e templi o mi intrufolo per i vicoli di città e paesi famosi e meno conosciuti, mi sento a casa ...

 

Prima di congedarci, volevo chiederle di rivolgere un saluto a tutti i soci e sostenitori dell'Unione delle Associazioni dei Polacchi di Puglia che la seguono con grande attenzione

 

Grazie mille,  saluto tutti i soci e sostenitori dell'Unione delle Associazioni dei Polacchi di Puglia.

 

Intervista realizzata da Antonio Mercurio

                                                                                    

 

 


La  memoria di Auschwitz, raccontata dallo storico Mirosław Obstarczyk

Come e quando ha avuto inizio il suo lavoro al Museo statale di Auschwitz-Birkenau?

 

Mi sono laureato in storia, ma inizialmente non ho lavorato come storico. Sono nato a Oświęcim, un piccolo paese con una lunga storia, attualmente oscurato dal dramma di KL Auschwitz, le cui tracce si possono trovare in giro, non solo sul terreno della PMA-B. Ho anche legami familiari con KL Auschwitz. La famiglia di mio nonno è stata sfollata e ha perso tutti i suoi averi. I miei parenti vivevano vicino ad Auschwitz III Monowitz e sono stati testimoni. Il tema del campo era sempre presente nelle storie di famiglia. Mi ha accompagnato fin da piccolo, mi ha incuriosito e attratto. Alla fine, nel 1991, sono diventato una guida del Museo e, poco dopo, ho ricevuto un'offerta per lavorare nelle Mostre del Museo. Il mio compito principale è stato quello di fornire una cura sostanziale per le mostre del Museo e le mostre presentate, e di promuovere la conoscenza e la memoria di Auschwitz attraverso la creazione di nuove mostre storiche: permanenti nei locali del Museo, temporanee e itineranti, e la cooperazione con appaltatori esterni, delle cosiddette Mostre nazionali. Il lavoro al Museo è interdisciplinare, quindi non sono estraneo alla ricerca, soprattutto educativa e divulgativa. Sono ideatore e coautore del percorso  delle visite guidate del Museo di Auschwitz, obbligatorio per le guide del Museo, e autore di vari materiali metodologici, didattici per studenti e insegnanti. La mia collaborazione con il Centro per l'Educazione su Auschwitz e l'Olocausto comprende anche la realizzazione di conferenze, workshop, presentazioni e la partecipazione a vari progetti, corsi e seminari di natura educativa. Ho anche partecipato alla formazione delle guide.

 

Quanto pensa che sia importante la “memoria”?

 

Preservare e dare forma alla conoscenza è uno dei compiti fondamentali di un museo storico. Nel caso del Museo del Martirio situato nel luogo di tragici eventi, è altrettanto importante plasmare la memoria della sofferenza e del martirio delle vittime. Nel caso di "questo" luogo della memoria, tuttavia, non si tratta solo di rievocare fatti ed estrarre dall'oscurità nomi e volti dimenticati dei partecipanti all'evento. Si tratta principalmente di suscitare empatia e trovare riferimenti dal tragico passato al nostro presente.

 

Quanto pensa che sia importante per i giovani capire cosa è realmente accaduto nel più grande campo di concentramento nazista?

 

È importante rendere i giovani consapevoli delle verità del passato che i crimini collettivi non nascono dal nulla e che i loro autori non nascono improvvisamente. Ciò può accadere in situazioni estreme di pericolo di vita, ad esempio sul campo di battaglia, ma non nel caso di uccisioni metodiche e genocidi sistematici. Auschwitz è stato liberato 76 anni fa. Per favore, ricordate quanti atti di genocidio sono avvenuti da allora in diverse parti del mondo? Citerò solo alcuni: Burundi, Cambogia, Ruanda, crimini in Curdistan, Darfur o Jugoslavia, a diverse decine di chilometri dalle vostre case. Quanti milioni di persone sono state uccise dopo l'Olocausto! Per questo è necessario ricordare, educare, sensibilizzare, osservare, perché nei prossimi anni nasceranno nuove generazione, e con esse aumenta la distanza e l'oblio storico, la sensibilità e l'empatia. Questa è la necessità essenziale per costruire la memoria e conoscere i fantasmi del passato.

 

Sei stato il curatore di molte mostre che sono state presentate in tutto il mondo, e recentemente anche in Italia, soprattutto a Bari, dove è stata presentata la storica mostra "German Nazi Death Camp - Konzentrationslager Auschwitz". Puoi descrivere come è nata la mostra e quali sono i suoi contenuti principali?

 

Sono autore di molte mostre storiche, ad esempio la mostra dedicata al movimento di resistenza nei campi in Bl. 11, inaugurato alcuni anni fa. Le mostre itineranti più importanti sono "Il campo di sterminio nazista tedesco Konzentrationslager Auschwitz" e “Le donne in KL Auschwitz". Entrambe sono originali e sono state create su mia iniziativa. La prima mostra  è stata tradotta in 10 lingue, anche in italiano, ed è stata presentata più volte in Italia e ospitata anche a Bari. La mia intenzione era quella di creare una mostra leggera e facilmente trasportabile che presentasse in poche parole tutti gli aspetti più importanti della storia del campo, e le informazioni sul contesto politico, dove, ad esempio, c'era la natura criminale dell'occupazione tedesca in Polonia. Così, allora la mostra mostrava le cause dell'avversione nazista per gli ebrei, le forme di persecuzione e sterminio, la deportazione, il corso dello sterminio e i rastrellamenti  ad Auschwitz-Birkenau. Oltre ai seguenti argomenti: sviluppo, caratteristiche e obiettivi dell'ideologia nazista, ragioni politiche per stabilire un campo di concentramento, inizialmente solo per i polacchi, il suo sviluppo e internazionalizzazione, metodi di registrazione e categorie carcerarie, terrore, metodi per uccidere e punire i prigionieri, condizioni di vita e igieniche disastrose, malattie, fame, natura criminale del lavoro, fughe, resistenza ai campi, aiuto della popolazione locale, informazione al mondo esterno e mancanza di reazione. Inoltre, vengono mostrati argomenti come donne, bambini, prigionieri di guerra sovietici e zingari nel campo.

E come nasce una mostra? Bene, quando l'idea è nata, devi preparare la sceneggiatura e convincere i tuoi superiori. Quindi, deve essere fatta una ricerca archivistica, devono essere selezionati documenti, fotografie e altri materiali iconografici e deve essere condotta la necessaria ricerca. Quindi viene prodotto uno scritto preliminare, ad es. Testi senza documentazione dettagliata. Quindi, cosa particolarmente difficile, è necessario ottenere l'approvazione dei superiori e presentare il copione per la consultazione con i colleghi storici. Dopo molte ore di discussioni, introduzione di suggerimenti, commenti e correzioni, viene scritta una sceneggiatura dettagliata con tutti i materiali e viene sottoposta a revisioni e traduzioni linguistiche ed editoriali. Inizia quindi la collaborazione con l'artista, che sarà l'autore del progetto artistico. Seguono ulteriori discussioni, consultazioni, ripetute correzioni e infine la mostra entra in produzione. In questo caso, la  stampa.

 

Sappiamo che stai lavorando a un podcast molto interessante sul campo di concentramento di Auschwitz, disponibile su www.auschwitzpodcast.podbean.com. Può dirci come è nata l'idea di questo progetto?

 

Quando si parla di podcast, il coinvolgimento professionale sul tema di Auschwitz è per me una specie di missione, una sorta di evangelizzazione secolare. Ho l'imperativo morale di realizzarlo. È tempo di pandemia, ho più tempo. Il pensiero è nato proprio nel corso di una conversazione. Qualche anno fa ho conosciuto Alina Nowobilska, una giovane donna polacca nata nella seconda generazione in Inghilterra. Alina è una storica e recentemente anche una guida del Museo di Auschwitz. Proviene da una famiglia con un grande tradizione patriottica. Qualche anno fa si è stabilita in Polonia per conoscere meglio la storia polacca e per diffonderla all'estero. A questo proposito, abbiamo obiettivi e punti di vista comuni, quindi abbiamo deciso di provare a divulgare la storia di KL Auschwitz in questa forma. Il tempo ci dirà se avremo successo.

 

Nel 2018, in qualità di relatore alla "Settimana della cultura italo-polacca" di Bari, ha ricordato la figura di Witold Pilecki. Quali sono i suoi ricordi di questa esperienza?

 

Durante la mia visita a Bari, ho avuto modo di parlare della sorte di Witold Pilecki nel campo durante un convegno a lui dedicato organizzato dall’Associazione Pugliese Italo Polacca.  Da ragazzo, Pilecki ha combattuto contro i bolscevichi nel 1920 quando hanno cercato di esportare la loro rivoluzione in tutta Europa. Era un proprietario terriero istruito con un talento artistico, un buon contadino, lavoratore comunitario e soldato. Combatté nella guerra difensiva, evitò la prigionia e si unì all'attività clandestina, quindi si recò volontariamente ad Auschwitz per identificare il campo e organizzare una cospirazione lì. Lo ha fatto ed ha ha inviato ripetutamente informazioni sui crimini commessi, incluso l'omicidio di massa. Il suo primo rapporto dal campo raggiunse Londra nel marzo 1941. Alla fine fuggì dal campo. Combatté eroicamente nella rivolta di Varsavia e, dopo la sua sconfitta, fu fatto prigioniero. Dopo la liberazione, si unì al 2 ° Corpo delle Forze Armate Polacche, che si batté per la liberazione dell'Italia, e poi vi fu di stanza. I suoi superiori lo mandarono nel paese per creare una cellula sotterranea che avrebbe dovuto informare l'Occidente sulla situazione nel paese in cui erano venuti il terrore comunista e l'illegalità. Alla fine, Pilecki fu arrestato nella primavera del 1946. Dopo un'indagine crudele, fu condannato a morte e giustiziato un anno dopo. La memoria universale è stata ripristinata solo dopo le trasformazioni del  1989. Oggi Witold Pilecki è un eroe e il simbolo di decine di migliaia di eroi polacchi - soldati risoluti che hanno combattuto contro due regimi totalitari, molto tempo dopo la fine della guerra, l'ultima fino al 1955.

 

In attesa del suo ritorno a Bari in occasione dei prossimi eventi culturali, le chiedo di salutare gli amici dell'Unione Associazioni e Polacchi di Puglia che ancora oggi ricordano la sua visita.

 

Vorrei rivolgere un caloroso saluto ai miei amici italiani e polacchi che ho avuto l'opportunità di incontrare a Bari nel 2018. Sono profondamente colpito dalle persone che coltivano la secolare  amicizia italo-polacca in modo così fruttuoso e meraviglioso, radicata nella tradizione polacca e testimoniata dalle opere di artisti  che si possono trovare in Polonia quasi ad ogni passo. Questo vale anche per la città della regina Bona Sforza e di San Nicola. Ricordo con affetto l'ospitalità, soprattutto di Aneta e Antonio, e di molti altri. Saluto anche, le persone che ho incontrato e tutti i membri e simpatizzanti Polacchi e italiani dell'UAPP.

 

 

Ringraziamo Mirosław Obstarczyk per averci gentilmente concesso in esclusiva questa intervista, sicuri di poterlo riavere a Bari come illustre relatore in occasione dei prossimi eventi nel solco della consueta collaborazione italo-polacca

Intervista realizzata da Antonio Mercurio


Antonella Roncarolo presenta in una video intervista  il suo ultimo libro : "Brest. Resistenza e canti di libertà nella Polonia in fiamme".

Cari amici abbiamo voluto dedicare l’intervista della settimana a Antonella Roncarolo, insegnante e giornalista che ha al suo attivo diverse  pubblicazioni e raccolte di racconti come: “Le vie dei Poeti” - Stamperia dell’Arancio (2002), e “Il giardino Incantato” - Canalini e Santoni (2009). Numerosi racconti sono pubblicati in riviste letterarie e antologie come  “Il Mantello Aperto” - Fermenti Editore (2020) e “Pagine Marchigiane” – Versante (2019). Antonella ha curato diverse recensioni di romanzi per la rivista “Itaca” edita da Ama-Aquilone. Ideatrice, in collaborazione con l’ordine degli architetti della Provincia di Ascoli Piceno, del concorso nazionale di idee e del volume “Dare un futuro alla memoria urbana di Pescara del Tronto” (2018). Attualmente scrive per il gruppo teatrale For.ma.ti. e collabora con Vera TV nella realizzazione di  programmi culturali su libri, musica e viaggi e cura la pagina culturale del Corriere Adriatico. Tra le altre cose è Operatrice culturale e socia dell’Associazione “I luoghi della scrittura” per l’organizzazione di festival letterari nel Piceno.


L'attore Roberto Giordano e il magistero di Irena Sendler

Cari amici, abbiamo voluto intervistare questa settimana un grande amico della comunità Polacca e della Polonia: Roberto Giordano.

Roberto Giordano è uno straordinario attore di teatro, cinema e tv, nonché regista e appassionato della lingua napoletana scritta e orale. Nel 1998 frequenta la scuola di recitazione del Teatro Augusteo di Napoli diretta da Giacomo Rizzo, Giulio Adinolfi, Annalisa Raviele. Nel 1999 la scuola di mimo di Michele Monetta (Il movimento dell’attore di E.Decroux ). Debutta in teatro nel 1999 nello spettacolo Putiferio di Raffaele Viviani, regia Nello Mascia. Con lo stesso Mascia prenderà parte ad altri tre lavori, due su Viviani: Fuori l’autore e Festa di Piedigrotta, ed uno su Eduardo: Natale in Casa Cupiello, prodotto dallo stabile di Palermo. Ruolo interpretato: Tommasino.. Prende parte in diverse occasioni al Napoli Teatro Festival, l’ultimo nel 2013 in ’O Paparacianno di Petito, con Mariano Rigillo, regia Laura Angiulli.

Nel 2017 è nel film di Luca Manfredi In Arte Nino, con Elio Germano. Al Cinema in Caccia la Tesoro con Vincenzo Salemme, regia Carlo Vanzina, e in Ammore e Malavita, regia dei Manetti Bros. Nel 2014 in Ma che bella sorpresa di A.Genovesi, con Claudio Bisio e Renato Pozzetto. Nel 2011 La valigia sul Letto di E.Tartaglia; L’ultimo Gol di Federico Di Cicilia.   In Tv: Artemisia Sanchez, Capri3, Crimini “Il Covo di Teresa”, Distretto di Polizia7, La Nuova Squadra 3, Squadra Mobile. Nel 2010 protagonista con Francesco Totti: spot Party Poker.

Roberto Giordano ha avuto altre  esperienze teatrali con:

Peppe Barra, Manlio Santanelli, Luigi De Filippo, Sandra Milo, Giacomo Rizzo, Lorenzo Salveti. Ha curato la regia di : ’O Ricovero, Napoletani Di…Versi, In Viaggio con Papele, Irena Sendler – La Terza Madre del Ghetto di Varsavia, Totò che padre!

Nel 2016 alla sua prima pubblicazione (La Mongolfiera Editrice) con il testo “Irena Sendler, La Terza Madre del Ghetto di Varsavia”. Patrocinato da: Amnesty International, Ambasciata Polacca in Roma, Consolato Onorario della Repubblica di Polonia in Napoli, Comune di Napoli.

 

Roberto come mai un  attore di teatro, cinema e tv, nonché regista e appassionato della lingua napoletana scritta e orale ama come te, ama così tanto la Polonia?

 

“Non è semplice spiegarlo. A volte capita di non riuscire ad esprimere con le parole sentimenti così  forti. Forse, qualcosa o qualcuno, ha voluto che fosse così... La Polonia ormai è parte di me. È nel mio cuore.”


Come nasce il libro “Irena Sendler. La terza madre del ghetto di Varsavia”?

“Il libro è nato grazie a un’idea della prof.ssa Suzana Glavaš, scrittrice e poetessa di origine croata, nonché figlia di sopravvissuta alla Shoah.

Nel 2015, dopo aver letto il mio testo drammaturgico, rimase fortemente colpita dal magistero di Irena Sendler, tanto da prodigarsi prontamente affinchè lo scritto, “documento inedito e importante” disse, fosse divulgato anche alla platea dei lettori. E grazie alla Casa Editrice La Mongolfiera, di Giovanni Spedicati, tutto ciò è avvenuto.

Il volume, Patrocinato tra l’altro  da Amnesty International, dall'Ambasciata Polacca in Roma, dal Consolato Onorario della Repubblica di Polonia in Napoli, e dal Comune di Napoli, ha avuto una sua seconda edizione con la casa editrice Nuvole di Ardesia, di Vincenzo Ambrosanio.”

 

                  Il tuo libro “Irena Sendler. La terza madre del ghetto di Varsavia” è diventato un vero e proprio progetto teatrale che ti ha                        permesso di rappresentare questo spettacolo in numerose città italiane e polacche. Il tuo spettacolo è stato                                                  rappresentato  anche a Varsavia, riscuotendo grande successo. Come spieghi tutto questo interesse?

 

“Per essere precisi c’è stato prima il debutto teatrale e poi la pubblicazione del libro.
La prima rappresentazione è avvenuta a Napoli, nel gennaio 2016, presso il Succorpo dell'Annunziata, in occasione della Giornata della Memoria. Lo spettacolo fu Promosso dall'Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli, grazie alla volontà dell'allora Assessore Nino Daniele. È stato molto emozionante, la realizzazione di un sogno che ancora oggi continua... Tutt'ora ci sono persone che mi ringraziano per avergli fatto conoscere questa storia incredibile e ci sono studenti che mi contattano per avere consigli sulle loro tesine incentrate sull'eroina polacca…

È uno spettacolo che ho voluto fortemente! Ho rifiutato una scrittura importante e mi sono indebitato pur di portarla in sçena e regalarla al pubblico nostrano.
E’ dal 12 maggio 2008 che Irena è parte di me. La sua scoperta è stato un dolce risveglio… Dopo la scomparsa di mia madre nel novembre 2012,  non ero per niente messo bene. Il dolore della perdita di una persona cara, come ben sappiamo, segna tanto... Poi e' successo l'impensabile... Qualcuno da lassù ha voluto così. Forse mia madre, forse Irena ha voluto prendermi per mano e accompagnarmi in questa magnifica avventura, che mi ha fatto crescere, mi ha fatto diventare una persona migliore, facendomi capire il mio senso della vita, la mia missione…

Spesso si tende a raccontare il male che è stato compiuto e non il bene che è stato fatto. La storia di Irena Sendler entra nel cuore dello spettatore appunto per questo. Abbiamo bisogno di ascoltare messaggi come il suo, di bontà, di altruismo. Abbiamo bisogna di ascoltare storie di solidarietà, di umanità,  storie che ci raccontano di porgere la mano a chi è in difficoltà,  chiunque esso sia, ebreo, sinti, rom,  profugo, immigrato, diverso… E la storia di Irena Sendler racconta tutto ciò.”

 

                  Qual è il ricordo più bello che conservi, legato al progetto di “Irena Sendler”?



“Difficile sceglierne uno… il debutto, il libro, gli studenti, l’Ambasciata Polacca di Roma, i professori, le lacrime, i grazie, la Polonia, Varsavia, il Muro del Ghetto, i Giusti, Cracovia e... l'incontro con Elżbieta Ficowska (la bambina più piccola salvata da Irena Sendler), un’emozione indescrivibile! Un ricordo indelebile!  Così come sono indelebili le rappresentazioni avvenute in Polonia nel giugno del 2018, in occasione del 10° anniversario dalla morte di Irena. Ricordo che a Varsavia, dopo il “chi è di scena”, abbiamo dovuto posticipare lo spettacolo di una decina di minuti per la commozione di due attrici, dovuta all'incontro con i sopravvissuti, un attimo prima di entrare in scena... Vi lascio immaginare quei momenti…

Inoltre, la presenza della giornalista Anna Mieszkowska (alla quale va tutta la mia gratitudine per aver pubblicato nel suo libro NOME IN CODICE JOLANTA, una lunga intervista ad Irena Sendler), mi ha reso tanto felice. Così come la presenza di Hanna Rechowicz (figlia di Jadwiga Piotrowska) e dell’adorabile Elżbieta, ha fatto sì che la serata fosse davvero speciale.

Allo stesso modo è stato emozionante la presentazione del libro (sempre a Varsavia) presso l'Istituto Italiano di Cultura, alla presenza del prof. Leszek Kazana (italianista), che ha voluto tradurre il mio libro in lingua polacca. Ricordo come se fosse ieri le sue parole:”Un italiano che scrive un testo drammaturgico su una nostra eroina, deve essere premiato. Posso avere l’onore di tradurre il tuo libro in lingua polacca?” Ancora oggi faccio fatica a credere che tutto ciò sia potuto accadere… Sono molto orgoglioso di essere diventato suo amico!”

 

Hai recentemente messo in scena la figura di Janusz Korczak con lo spettacolo "Janusz Korczak – L’ultima Strada per Treblinka". Cosa ti ha spinto a scrivere,  dirigere e rappresentare come attore questa opera teatrale?


“Janusz Korczak è un altro "eroe" polacco che abbiamo il dovere di ricordare. I suoi libri andrebbero letti da tutti gli educatori, tutti gli insegnanti, tutti i genitori!

Se desideriamo avere un mondo migliore, cominciamo a rispettare  i bambini per quelli che sono!... Rispettiamo i loro errori, le loro debolezze, i loro pianti, i loro desideri, senza imporre loro, con la nostra forza, con la nostra arroganza, con il nostro potere, le nostre volontà.

Korczak, precursore della Carta Internazionale dell'Onu sui diritti del fanciullo, ci insegna che il bambino ha il diritto di sbagliare, senza essere giudicato, senza essere punito. Ci invita a chinarci alla loro altezza, ad ascoltarli, senza imbavagliarli, senza mettergli il guinzaglio. Ed io non potevo non raccontare una figura così tenera e umana. Non potevo non raccontare colui che prima di essere deportato con “i suoi ragazzi”, per essere gasato nel campo di sterminio di Treblinka, gli fu data la possibilità di salvarsi, ma rifiutò perché non volle lasciarli soli...”

Direi che non è per niente un periodo di riflessione per alcuni... Quando sento dire che siamo in "guerra", rabbrividisco! E' difficile accettare questo tipo di esternazione. Andiamolo a raccontare ai profughi siriani o a quelli afgani o ai somali, che siamo in guerra… Andiamolo a dire alle famiglie di coloro che sono morti in mare mentre noi ci "abbuffiamo" dinanzi a un pranzo luculliano, osservando queste tragedie stando seduti a tavola o stesi sul nostro bel divano... non facciamo alcun accostamento per favore!...


Roberto, anche se questo periodo legato all’emergenza sanitaria non aiuta sicuramente le compagnie teatrali nel mettere in scena le loro opere, conoscendoti starai sicuramente pensando e lavorando ad un nuovo progetto, puoi darcene una anticipazione?

 

Per quanto riguarda i nuovi progetti, ho da poco finito si scrivere un testo drammaturgico su Oskar Groening (Il Contabile di Auschwitz), ma sento di essere quasi pronto per scrivere il terzo, e forse ultimo, scritto sul Ghetto di Varsavia, con la speranza che ci possa essere in futuro la pubblicazione della raccolta di questi quattro testi.
Poi con Federica Aiello (mia moglie!) continueremo a rappresentare i nostri spettacoli di tradizione: TOTO' che padre! e L'ARTE DEL SORRISO La Macchietta.
Infine spero quanto prima di ritornare in scena con TARTASSATI DALLE TASSE (di Eduardo Tartaglia) con Biagio Izzo, spettacolo che abbiamo dovuto interrompere a marzo, causa Covid...

E Dulcis in fundo, a fine gennaio , andrà in onda su Rai Uno la serie tv IL COMMISSARIO RICCIARDI (con Lino Guanciale), per la regia di A. D'Alatri, tratto dai romanzi di Maurizio De Giovanni. Io interpretero' il ruolo del poliziotto Camarda.

Ora Voglio confidarvi due miei sogni. Il primo: ritornare in Polonia per replicare lo spettacolo e rivedere i miei cari amici! Il secondo: replicarlo anche in Israele!...

 

Prima di congedarci, vorrei chiederti di rivolgere un saluto all”Unione delle Associazioni e dei Polacchi di Puglia” e all’intera comunità polacca che ti segue sempre con affetto.

 

“Saluto con tanto affetto i miei amici dell'Unione delle Associazioni e dei Polacchi di Puglia sperando di vedervi quanto prima! Un abbraccio forte a tutti voi! Vi lascio con il messaggio della nostra cara:"Dobbiamo lottare per ciò che è buono. Il buono deve prevalere ed io ci credo. Finché vivrò, finché avrò forza, professero' che la cosa più importante è la bontà."

 

Ringraziamo l’amico ed attore Roberto Giordano, certi che saprà realizzare tutti i suoi sogni e che presto potremo  riabbracciarlo e rivederlo sul palcoscenico. Ad maiora semper caro Roberto!

 Intervista realizzata da Antonio Mercurio, ne è vietata la riproduzione anche parziale.


Magdalena Wolinska-Riedi e la “voce della Provvidenza”

Oggi cari amici abbiamo l’onore e il piacere di intervistare Magdalena Wolinska-Riedi , che oltre ad essere una straordinaria giornalista e scrittrice è una grande amica dell’"Unione delle Associazioni e dei Polacchi di Puglia” e dell’intera comunità polacca.

 

Magdalena come e quando  ha avuto inizio la tua vita all’interno della  Città del Vaticano?

 

A distanza di vent’anni precisi dalla mia prima visita e dal mio primo arrivo a Roma, oggi penso di poterlo valutare come un segno del  destino, chiamiamola una coincidenza o per meglio dire un segno, la voce della provvidenza.  Sono arrivata come volontaria con altri giovani ragazzi polacchi per prestare servizio in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù di Tor Vergata sulla soglia  del III millennio,  alla quale il Papa  Giovanni Paolo aveva invitato  tutti i giovani del mondo. In realtà Papa Giovanni Palo II l’avevo incontrato durante la Giornata d’Europa a Loreto nel 1995 quando ero giovanissima , non avevo neanche 16 anni e mi ricordo quelle sue parole che rintonavano  nella mia testa “vi aspetto a Roma  nel 2000”.  Intanto io mi sono innamorata della cultura italiana e della bellezza del vostro paese grazie  alla visita a Loreto. Ho deciso di scegliere la Facoltà di Italianistica, che è stata una sfida grande perché  su 470 candidati c’erano soltanto 30 posti, in quanto da noi  italianistica è una Facoltà esclusiva, dato che non la studiavano in tanti come ad esempio Giurisprudenza. Sono stata ammessa ed ho iniziato a studiare, e nel  2000 sapendo anche altre lingue sono venuta per prestare servizio alla Giornata Mondiale della Gioventù. L’ultimo giorno sono capitata in Piazza San Pietro dove ho incontrato il mio futuro marito per puro caso, infatti, lui prestava servizio in divisa al Portone di Bronzo perché era una Guardia Svizzera. Io dovevo consegnare una lettera dalla Polonia  per il  Papa e l’avrei dovuta dare  ai suoi Segretari. Questa guardia  mi ha fermato e poi siamo rimasti un attimo in contatto sia  lo stesso giorno, che  il giorno seguente   prima che ripartissi per la Polonia. Ci siamo scambiati gli indirizzi, ma non era certo l’epoca di Internet,  quindi c’è stata tutta una lunga e romantica storia epistolare. Nel 2002 siccome la relazione si stava sempre più consolidando e volevamo stare insieme,  lui mi ha chiesto la mano. Sapevo che accettando questa sua richiesta sarei dovuta venire a vivere nella Città del Vaticano. Lui continuava ovviamente la sua missione di Guardia Svizzera, era ormai  graduato come Caporale, ed  era chiaro che se volevamo stare insieme dovevo venire io a vivere in Vaticano.  In realtà mi spaventava questo fatto,  non volevo andare via dalla Polonia, mi trovavo bene, stavo ancora completando i mei  studi, avevo tutta la famiglia e gli amici. Mi sentivo spaesata avendo visitato il Vaticano in occasione degli incontri con  lui, un luogo completamente diverso da tutte le realtà che conoscevo, un mondo chiuso ed ermetico.  Nel maggio del  2003 ci ha il  sposato il Cardinale Ratzinger, il futuro Papa Benedetto XVI. Sono venuta a vivere dentro la città del Vaticano e questa lunga esperienza  di ben 16 anni di vita dentro le mura della Città del Vaticano  è stata raccontata anche nei miei libri.

 

Nel corso di questi anni hai  incontrato personalmente Papa Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Papa Francesco. Cosa hai imparato attraverso queste esperienze ?

 

Questo per me è un percorso provvidenziale, perché penso che  capiti poche volte nella storia che una persona possa vivere  accanto ai Papi, letteralmente come la loro vicina di casa, con tre pontefici consecutivi, con tre grandi pontefici, ognuno diverso dall’altro.    

 Io ho vissuto non solo il loro Magistero, ma anche la  loro vita normale nella mia quotidianità mentre tornavo a casa con le buste della spesa, o passeggiavo per i giardini vaticani con le mie figlie piccoline,  oppure mentre i Papi   tornavo con la Papamobile al Palazzo Apostolico per il pranzo dopo un’udienza con Bush, Obama o Trump. Dopo aver  conseguito la Laurea in  Italianistica  ho studiato Storia della Chiesa presso la Pontificia Università  Gregoriana,  e dopo essermi laureata ho  fatto il percorso del ciclo di dottorato. Ho potuto percepire il Vaticano  da abitante e da cittadina, e avendo il Passaporto della Città del Vaticano, ho potuto girare dappertutto, godendo di questo  privilegio essendo una delle 12 donne ad averlo insieme ad altre 400 persone al mondo. Ho conosciuto i Papi in quel mondo piccolino di soli 44 ettari  nella doppia veste di Pontefici, ma anche di uomini capaci di  incidere ognuno in maniera diversa sull’aspetto quotidiano della città del Vaticano.  Giovanni Paolo II  era così straordinariamente aperto e accogliente, invece Papa Benedetto XVI era più discreto e più chiuso, mentre Papa Francesco ha sconvolto tutta la  realtà col fatto di andare a vivere nella Casa di Santa Marta e abbandonare il Palazzo Apostolico.

 

Qual è il tuo ricordo di Papa Giovanni Paolo II?

 

Il ricordo di aver vissuto gli ultimi giorni di agonia, ed in particolare  l’ultima sera del 2 aprile, da una prospettiva completamente insolita, quella di casa mia. Dal mio salone vedevo le finestre della sua stanza, vedevo le luci che non si spegnevano per giorni e notti intere. Sapevo attraverso i suoi Segretari, con i quali  avevo un rapporto di amicizia, vivendo lì dentro il Vaticano ed essendo anche Polacca, che la situazione si stava deteriorando ulteriormente. Ho vissuto gli ultimi giorni di Papa Giovanni Paolo II anche con i miei  genitori e con i miei suoceri, infatti loro sono  venuti a trovarmi  in quel periodo. Ho vissuto quei  giorni dentro le mura con un silenzio avvolgente e spaventoso, non  riuscendo ad  immaginare cosa ci  sarebbe stato dopo la morte di Papa Giovanni Paolo II.

 

Da alcuni anni sei  la corrispondente polacca della TVP a Roma, in Vaticano. Come ha avuto inizio la  tua avventura con il mondo della televisione?

 

Io ho sempre avuto rapporti con la televisione polacca sin da quando sono andata a vivere in Vaticano. Inizialmente non ho lavorato  come corrispondente e giornalista, ma ho realizzato diversi film per conto della televisione polacca all’interno del Vaticano. Il lavoro come corrispondente per la TVP è stato un caso o un altro segno della provvidenza nella mia vita, infatti, uno dei direttori di TVP mi ha chiamato al telefono una mattina per dirmi che loro avrebbero voluto avermi come corrispondente dalla Città del Vaticano. Il mio era comunque un volto noto in Polonia, essendo  la moglie di una Guardia Svizzera che viveva all’interno del Vaticano, che aveva già fatto diversi servizi e collegamenti in occasione della morte di Papa Giovanni Paolo II o per la proclamazione  di Papa Benedetto XVI. La scelta è caduta su di me essendo una persona  umanisticamente preparata, perché non è che bisogna studiare solo giornalismo per fare il giornalista. Tantissimi colleghi nella nostra  redazione hanno studiato filologia, storia dell’arte  o storia delle comunicazione.

Il primo anno ho fatto servizi esclusivamente sul Vaticano e sul Papa. Negli anni successivi è iniziato il lavoro  a pieno ritmo,  con servizi da tutta l’Italia e da tutto il Mediterraneo. Numerosi sono stati i servizi speciali in Italia legati al  terremoto di Amatrice, alla valanga di Rigopiano,  sino  ai servizi dall’Isola di Lampedusa del 2016, del 2017 e del 2018. Gli sbarchi degli immigrati li ho  seguiti in mezzo al mare sulla nave della Guardia di Finanza realizzando e raccontando a caldo le  operazioni di salvataggio in mare.

 

Ti sei  occupata nel corso della tua carriera tra le altre cose, anche di produzione cinematografica e televisiva, puoi raccontarci qualche progetto al quale sei particolarmente legata?

 

La mia avventura con la televisione, è iniziata con i documentari realizzati per conto di TVP dai produttori esecutivi privati, che mi hanno assunto pensando che io sarei stata una risorsa preziosa,  capace di  muovermi liberamente nel Vaticano, facendogli scoprire luoghi assolutamente inaccessibili.

Il progetto che mi sta più a cuore, sono le 14 puntate di una serie documentaria molto bella fatta per la prima volta al mondo in HD “I segreti del Vaticano” anche se poi il titolo è stato modificato con “Alla scoperta del Vaticano”, dove abbiamo girato con delle gru nella Cappella Sistina  notti intere, dove durante la pausa abbiamo mangiato un pezzo di pizza,  ma abbiamo veramente girato tutto il Vaticano nei minimi dettagli, in quanto io lo conoscevo molto bene offrendo uno spaccato molto intimo.

 

Nel 2019  ha visto la luce  il tuo primo  libro “Kobieta w Watykanie” e nel 2020  il secondo “Zdarzyło się w Watykanie. Nieznane historie zza Spiżowej Bramy”.  Come spieghi il successo editoriale dei tuoi libri che è testimoniato sia dal numero di copie vendute, ma soprattutto dal gran numero di persone che hanno assistito alle  presentazioni?

 

Io penso che sia innanzitutto dovuto al tema stesso. Qualcuno ha detto all’inizio, dopo  la pubblicazione di “Kobieta w Watykanie”,  che forse sono stata l’unica persona al mondo a scrivere un libro del genere. Il primo libro racconta il Vaticano completamente inedito e sconosciuto, raccontato da una donna che ci ha vissuto dentro. Quel tocco autobiografico nella narrazione rende la storia più credibile. Si parla di storie realmente  avvenute in Vaticano o delle dinamiche della realtà Vaticana completamente sconosciute. Si tratta di dinamiche  molto curiose per tanti, anche se funziona davvero  in questo modo. Per la prima volta si parla dei bambini e della piccola comunità di donne laiche, rappresentata dalle mogli delle Guardie Svizzere, che conducono una vita normale, che vanno a fare jogging  la sera, che si incontrano, donne che  vengono da diverse parti del mondo e poi diversi altri aspetti del Vaticano analizzati nei capitoli con il racconto della mia esperienza personale con i tre Papi.

Penso che i lettori siano stati attratti dall’argomento e dal fatto che già da diversi anni mi conoscevano non  come scrittrice, ma come corrispondente per la TVP e  come moglie di una guardia svizzera. Penso di essere stata la prima e l’unica  a realizzare  una  narrativa del genere. Una narrativa che non  potrebbe realizzare neanche un prete che lavora da vent’anni in Vaticano. Per quanto riguarda il successo del  secondo libro,  “Zdarzyło się w Watykanie. Nieznane historie zza Spiżowej Bramy”, penso che sia da ricollegarsi un po’ al successo editoriale del primo libro, ma anche alla sua grande promozione,  alla forte azione pubblicitaria che lo hanno portato  già alla quarta ristampa. Io attraverso i miei due  libri ho voluto condurre per mano il lettore dentro il mondo del Vaticano attraverso il Portone di Bronzo. Il primo  libro ha un taglio autobiografico molto più accennato e  molto più forte rispetto al secondo dove invece coinvolgo anche altre 10 persone che hanno lavorato in Vaticano per trenta o quarant’anni e  ci raccontano un  Vaticano sconosciuto, sdrammatizzando qualche  stereotipo del Vaticano che pur essendo  il cuore della Chiesa è fatto di persone che lavorano determinando il funzionamento dello Stato della Città del Vaticano.

 

Magdalena, prima di congedarci, vorrei chiederti di rivolgere un pensiero ed un saluto all’Unione delle Associazioni e dei Polacchi di Puglia.

 

Un caro  saluto agli amici di una  comunità alla quale  sono molto affezionata, che  mi fa sentire una parte della comunità degli abitanti della  Puglia e  dei polacchi che vivono in Puglia. Inutile dire che sono innamorata delle orecchiette, del centro storico della città di Bari e delle bellezze paesaggistiche ed architettoniche di una regione  stupenda.

 

Ringraziamo Magdalena Wolinska-Riedi per averci concesso in esclusiva questa intervista, certi di riaverla presto in Puglia per la presentazione del suo ultimo libro.

 

 

Intervista realizzata da Antonio Mercurio. Ne è vietata la riproduzione.


Il Maestro Pietro Laera e il “Mito” di Frédéric François Chopin

Abbiamo avuto il piacere intervistare  un grandissimo professionista oltre che un grande amico della comunità italo polacca, il Maestro Pietro Laera. Il Maestro Pietro Laera, pianista di grande fama non ha bisogno certo di presentazioni, ma ci preme sottolineare come sia  un elemento specialmente dotato sia dal punto di vista musicale che da quello, molto più raro, che concerne la pratica strumentale.  

Nato a Bari, ha studiato al Conservatorio di musica “N. Piccinni” nella classe di Luigi CECI diplomandosi con il massimo dei voti, lode e menzione speciale.

Ha conseguito il Diploma Accademico di II livello in Discipline Musicali -indirizzo interpretativo- compositivo presso l’Istituto Superiore di studi Musicali “G. Braga di Teramo”, discutendo una tesi intitolata “F. Chopin: l’evoluzione stilistica, le fasi compositive e lo sviluppo della tecnica pianistica negli studi” ed eseguendo l’integrale degli studi op. 10 e 25 di F. Chopin.

É stato inoltre allievo di Alicia DE LARROCHA, Gianna VALENTE e Adam WIBROVSKI, nonché -per 10 anni- di Aldo CICCOLINI.

Musicista versatile, esplora i vari linguaggi musicali attraverso composizioni, trascrizioni ed elaborazioni per svariati organici e collabora con musicisti del panorama internazionale quali: il flautista Roberto FABBRICIANI, il clarinettista Giora FEIDMAN, il trombonista Gianluca PETRELLA, il sassofonista Roberto OTTAVIANO, il mezzosoprano Fiorenza COSSOTTO, il violinista Francesco MANARA, il violoncellista Massimo POLIDORI, il Quartetto d’archi della Scala ed il direttore d’orchestra Roberto DUARTE con il quale ha inciso un C.D. distribuito in Europa e negli Stati Uniti. Frequenti inoltre le sue collaborazioni con attori e personaggi dello spettacolo quali Arnoldo FOA’, Ugo PAGLIAI, David RIONDINO, Michele MIRABELLA e Giorgio ALBERTAZZI.

Vincitore di numerosi primi premi in concorsi pianistici nazionali ed internazionali, ha al suo attivo una cospicua attività concertistica da solista che lo ha portato ad esibirsi, tra le altre, nelle seguenti città:  Parigi (Journée du Patrimoine), Budapest, Lille, Malaga, Barcellona, Dubvrovnik, Firenze (Amici della Musica), Torino, Chieti (teatro Marrucino), Siena, Roma, Milano, Bari (Teatro Piccinni), Pisa, Taormina, Catania, Ragusa, Siracusa, Bologna, Sarzana (Teatro Impavidi), Reggio Calabria (Teatro Aurora), Cosenza (Teatro Rendano) Sorrento (Teatro Tasso), Faenza (Teatro Comunale), Napoli (Villa Pignatelli – Teatro Diana), Garda (Palazzo dei Congressi), Parma (Teatro Cinghio – Palazzo Cusani) e moltissime altre.

E’ stato membro nonché presidente di  giuria in prestigiosi concorsi musicali e può vantare una decennale esperienza nel settore dell’organizzazione dello spettacolo dal vivo e della direzione artistica di eventi e stagioni concertistiche di portata internazionale.

Per circa 10 anni ha curato la direzione artistica della Fondazione Concerti “N. Piccinni” di Bari (ente storico con 70 anni di attività alle spalle), organizzando centinaia di spettacoli di musica e danza su tutto il territorio pugliese con il coinvolgimento dei più importanti esponenti del panorama musicale e coreutico mondiale.

Già direttore artistico della rassegna “Vallisa Giovani” di Bari, è attualmente coordinatore dell’Associazione Musicale “Nel Gioco del Jazz”, un’associazione che organizza annualmente un cospicuo numero di concerti di respiro internazionale beneficiando del riconoscimento ministeriale (F.U.S.). Ricopre inoltre l’incarico di Direttore Artistico del settore musicale della Fondazione Defeo-Trapani di Giovinazzo (BA). E’ titolare di cattedra presso il Conservatorio di musica “N. Rota” di Monopoli.

 

Maestro lei è sempre stato molto vicino alla cultura e alla comunità polacca che vive in Italia oramai da diverso tempo. Negli ultimi due anni lei ha omaggiato la comunità polacca con due splendidi  concerti. Uno dei due  concerti è stato dedicato   al “mito di Frédéric François Chopin”. Vorrei chiederle alla luce dei suoi studi, per quali motivi possiamo definire Chopin un mito?

 

“E' certamente un mito in special modo per noi pianisti. Il suo nome è indissolubilmente legato al pianoforte, strumento che grazie a lui ha notevolmente accresciuto le sue possibilità timbriche, musicali e tecniche. E' stato autore di un sterminata produzione musicale con un occhio particolare alla didattica: i suoi 24 studi, infatti, rappresentano un condensato di tutta la tecnica pianistica e sono al contempo un'opera di sublime bellezza. Ma la definizione di "mito" supera ogni aspetto tecnico e si riferisce senza dubbio all'emozione che la sua musica ha da sempre suscitato nell'ascoltatore. “                                                                                    

 

Nel corso di questi anni nonostante i suoi numerosi impegni professionali lei è riuscito sempre a dedicare grande attenzione e tempo ai giovani. Maestro Laera, cosa rappresentano per lei i giovani? Cosa le hanno insegnato e le continuano ad insegnare ancora oggi?

 

“I giovani sono il nostro futuro ed incarnano le nostre speranze. Nel corso della mia lunga carriera didattica (25 anni) sono sempre stato affascinato dalla voglia di apprendere e dalla passione che essi mettono in tutto ciò che fanno. E' questo l'insegnamento più grande che mi trasmettono: affrontare qualunque cosa con passione e sentimento, aiuta ad affrontarla al meglio.”                                                       

 

Quello che stiamo vivendo è un periodo difficile per il mondo della cultura ed in particolare per gli artisti come  lei che sono abituati ad esibirsi in  luoghi pubblici. Nell’arco di questo ultimo anno cosa le è mancato maggiormente?

 

“Naturalmente mi è mancato particolarmente il contatto con il pubblico: la magia che si vive durante il concerto dal vivo non ha pari: quello che il pubblico riesce a comunicarti, nel silenzio di un'esecuzione musicale, è un'alchimia davvero indescrivibile. “

                                                                                                                      

Quali sono i progetti artistici che attualmente la vedono coinvolta ?

 

“In attesa di poter tornare presto ad una vita "normale", sono coinvolto in numerosi progetti artistici, al fianco di grandi amici e musicisti e pertanto voglio ritagliarmi del tempo per studiare e approfondire il repertorio. “                                    

 

Maestro cosa  sta progettando nel prossimo futuro? Può darcene un’anteprima?

 

“Ci sono tanti progetti in cantiere: uno in particolare riguarda i giovani artisti che credo vadano valorizzati il più possibile. Spero di poterlo attuare nei prossimi mesi, con l'aiuto dei tanti amici che come me credono in questi valori.”                

 

Infine Maestro Laera, prima di concludere questa intervista, vorrei chiederle gentilmente  di rivolgere un pensiero ed un saluto alla neonata associazione  “Unione delle Associazioni e dei Polacchi di Puglia”.

 

“ All“Unione delle Associazioni e dei Polacchi di Puglia” ed al caro amico prof Antonio Mercurio, desidero rivolgere un caro saluto ed un pensiero di stima ed ammirazione per il gran lavoro di divulgazione della cultura polacca che stanno svolgendo e svolgeranno in modo certamente egregio.”

 

 

Ringraziamo il Maestro Pietro Laera  per averci concesso questa intervista e il  meraviglioso scatto fotografico realizzato da Giuseppe Clemente che lo vede in duo con il primo violino del Teatro Alla Scala Francesco Manara.

Intervista realizzata da Antonio Mercurio, ne è vietata la riproduzione non autorizzata.


L’Ambasciatore della Repubblica di Polonia presso la Santa Sede S.E. prof. Janusz Kotański ricorda  la straordinaria figura del Beato Padre Jerzy Popiełuszko.

Janusz Andrzej Kotański è Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario della Repubblica di Polonia presso la Santa Sede. Laureato in storia nel 1983 presso l’ Università di Varsavia, ha lavorato dal 2001 al 2006 per l’Istituto della Memoria Nazionale. Tra le altre cose è autore di numerosi libri sul Primate polacco Stefan Wyszyński e di percorsi educativi per i giovani, per la divulgazione della storia contemporanea polacca.

Abbiamo rivolto all’ Ambasciatore S.E. prof. Janusz Kotański alcune domande:

 Ambasciatore S.E. prof. Janusz Kotański,  il 19 ottobre del 1984 il Beato Padre Jerzy Popiełuszko fu barbaramente assassinato. Alla luce dei suoi numerosi studi e lavori, anche se non è semplice rispondere in poche battute, può dirci chi era padre Jerzy Popiełuszko?

 

 “Padre Jerzy Popiełuszko è stato testimone di Cristo, un grido di libertà ai tempi dell’assoggettamento comunista, è stato un difensore della vita dal momento del concepimento fino alla morte naturale. (Quest’ultimo tratto è particolarmente attuale nel mondo di oggi e soprattutto in Italia). È stato un patriota polacco, come lo sono stati i suoi Maestri: il Primate del Millennio Cardinale Stefan Wyszyński e San Giovanni Paolo Magno.

È stato un uomo sofferente, che non nascondeva la sua paura di soffrire e morire. Riusciva comunque a vincere i suoi timori e ha sacrificato la vita per i suoi fratelli, lavoratori di „Solidarność”, studenti dell’Associazione Indipendente degli Studenti, per i perseguitati e gli oppressi dal disumano regime totalitario.

Per questo motivo ora è Beato Martire e spero che presto venga proclamato santo. Aspettiamo questa notizia, pregando per lui. „Ha sconfitto il male con il bene”. Non dobbiamo avere paura di seguire il suo esempio. “

 

Padre Jerzy Popiełuszko, viene considerato da molti un martire della libertà, con la sua morte  che messaggio ha lasciato in eredità non solo ai cattolici, ma all’umanità intera ?Come intendiamo oggi il senso della vita e della morte per martirio del padre Jerzy Popiełuszko? Se dovessimo in due parole definire il suo credo, bisognerebbe scegliere le seguenti:  coraggio e fedeltà.

 

“La fedeltà all’umanità, ai più alti valori. Ai comandamenti, che per secoli non lasciavano spazio ai dubbi e ora sembrano diventare ambigui. Come quello che dice di non uccidere. Non spetta all’uomo di decidere sull’esistenza o sulla non esistenza di altri esseri umani!

Senza fedeltà a sé stesso, l'essere umano diventa solo un gioco nelle mani di ideologi di progresso illimitato, politici e scienziati, per i quali la mancanza di barriere tecnologiche equivale alla mancanza di barriere morali. E questo può portare l'umanità all'autodistruzione, anche senza l'uso dei mezzi di distruzione di massa.

Padre Jerzy Popiełuszko appare anche come il patrono di un uomo comune: debole, peccatore, malato nel corpo e nell'anima, eppure creato a immagine di Dio e chiamato alla santità.

Infine, il Beato Padre Jerzy ci obbliga ad essere fedeli, anche nel XXI secolo, all'eredità secolare: al nostro cristianesimo, alla tolleranza, all'amore per le cose spirituali, alla cultura latina, al coraggio nella lotta per la libertà, alla nostra volontà profondamente cattolica di perdonare i colpevoli, al generoso altruismo.

Padre Jerzy era coraggioso? Non era un eroe, né San Lorenzo che corre gioiosamente verso la graticola ardente preparata dai carnefici. E proprio di uno così - semplicemente coraggioso – abbiamo bisogno. Il suo coraggio non si è sempre mostrato con la stessa forza. Si rivelava immenso nei momenti critici. Quando gli altri si scoraggiavano, si abbattevano, lui diventava una roccia. Incoraggiava gli altri, non si curava di se stesso. E nell'ultimo momento non fece un passo indietro.

"Non abbiate paura!" gridava il Santo Papa dalla Polonia in Piazza San Pietro. Siamo fedeli a questa sfida? Ricordiamoci di lui soprattutto nell'anno del centenario della sua nascita.”

 

Quali sono se può anticiparcelo i suoi prossimi lavori su Padre Jerzy Popiełuszko?

 

“Poco prima di partire per l'Italia per assumere l’incarico dell’Ambasciatore di Polonia presso la Santa Sede e l'Ordine di Malta, ho finito di raccogliere i materiali per un nuovo libro su padre Jerzy Popiełuszko. Per ovvie ragioni, non ho potuto iniziare a scrivere a Roma. Quando ritornerò a Varsavia, sicuramente tornerò al lavoro sulla nuova pubblicazione su San Giorgio dei nostri tempi. Per questo al momento non rivelerò ora di cosa vorrei scrivere ... Siate pazienti.”

 

Ringraziamo l’Ambasciatore della Repubblica di Polonia presso la Santa Sede S.E. prof. Janusz Kotański per averci concesso gentilmente questa intervista, certi di riaverlo a Bari come prestigioso relatore nei prossimi convegni sulla storia della nostra amata Polonia.

 

Intervista realizzata da Antonio Mercurio ne è vietata la riproduzione non autorizzata

 

 

 

 

 

 

 


L’Associazione dei Polacchi in Italia,  ha festeggiato 25 anni di attività. Abbiamo intervistato a margine dei lavori dell’Assemblea Generale dei  Polacchi in Italia, la Presidente Urszula Stefanska- Andreini.

La prima intervista della nostra neonata Associazione non poteva che essere dedicata a Urszula Stefanska- Andreini, Presidente dell’”Associazione  Generale dei Polacchi in Italia” con sede a Roma.

 Attualmente Urszula Stefanska- Andreini è pensionata,  ma fino al 2005 è stata una apprezzata docente di materie giuridiche ed economiche negli istituti statali di II grado. Dopo aver frequentato il  Liceo  statale “Maria Curie-Skoldowska” e il Conservatorio di Musica classe di pianoforte a Stettino, ha proseguito gli studi inizialmente  presso l’Università degli Studi di Varsavia, Facoltà di Giurisprudenza e successivamente all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Facoltà di Giurisprudenza.  Urszula Stefanska- Andreini ha inoltre seguito  Il “Corso di specializzazione in commercio con l’estero” ICE ed ha successivamente conseguito  l’Abilitazione all’insegnamento nelle materie giuridiche ed economiche presso la scuola secondaria di secondo grado. I primi passi nel mondo del lavoro li ha compiuti presso l’Ufficio legale dell’ Istituto del Commercio con l’Estero con sede a  Varsavia “UNIVERSAL”, ma è nel mondo della scuola e dell’insegnamento che ha trascorso la sua vita lavorativa insegnando per quasi trent’anni negli  Istituti Statali ad indirizzo giuridico-economico-aziendale della Capitale.

Urszula Stefanska- Andreini sin dal suo arrivo in Italia, si è sempre dedicata al sociale con numerose attività. Nei  primi anni novanta ha organizzato numerosi  scambi culturali tra gli studenti degli  ITC di Roma e il Liceo polacco “Dabrowski”di Varsavia.  Urszula Stefanska- Andreini è socia dell’Associazione  Culturale Italo-Polacca di Roma AIPRO sin dal 2000. Componente della Commissione dei Probiviri dell’Associazione Generale dei PoIacchi in Italia AGPI , ha assunto la vice presidenza dell’ AGPI dal  2011 al 2015, per poi diventarne Presidente nel 2015, carica che riveste ancora oggi. A conclusione dei lavori della XXV Giubilare Assemblea abbiamo voluto rivolgerle alcune domande.

“Cosa significa per lei essere Presidente dell’”Associazione dei Polacchi in Italia?"

Urszula Stefanska- Andreini:  “Il compito più importante, non solo mio, ma della nostra organizzazione è di creare  rapporti sempre più stretti fra le persone di origini polacche, coltivare e diffondere la cultura polacca e le nostre tradizioni. Oggi è molto importante  promuovere nelle  nuove generazioni nate in Italia la consapevolezza delle origini polacche. Dobbiamo promuovere e realizzare tutte le iniziative che mirano al bene della Comunità polacca, dei singoli Polacchi e della Polonia. Favorire una partecipazione sempre più attiva e consapevole dei Polacchi alla vita sociale, culturale ed economica dell’Italia. Rispettare e coltivare le tradizioni legate al contributo del II Corpo d’Armata Polacco del generale Wladyslaw Anders alla liberazione d’Italia. Tutte le mie riflessioni riguardanti XXV anni dell’Associazione le potete trovare nel nostro Bollettino d’Informazione Polonia- Wloska edizione straordinaria."

 "Nei giorni scorsi si è tenuta a Roma l’Assemblea Generale dell’”Associazione dei Polacchi in Italia”, può tracciare un bilancio a conclusione dei lavori dell’Assemblea?"

Urszula Stefanska- Andreini : "Nei giorni 10 e 11 ottobre a Roma si è svolta la XXV Giubilare Assemblea. Nella parte cosiddetta aperta   abbiamo avuto l’ onore di ospitare il Presidente del Senato polacco sen. Tomasz Grodzki con la delegazione dei senatori RP e degli  alti dirigenti. Oltre agli ospiti dalla Polonia, come ogni anno hanno preso parte i rappresentanti delle Ambasciate polacche e dei Consolati.  AGPI fa parte dell’EUWP e abbiamo avuto l’onore di ricevere la medaglia d’argento per i nostri 25 anni. Nella parte cosi detta chiusa, riservata solo ai delegati, nella sessione straordinaria abbiamo cambiato il nostro statuto, adeguandolo alle norme riguardanti  ETS. Oltre questo abbiamo abbassato la soglia da 20 a 10  componenti per le  organizzazioni che volessero entrare a far parte  in futuro della nostra organizzazione.  L’11 ottobre  abbiamo festeggiato il nostro anniversario con la partecipazione del prof. Marco Patricelli che ha presentato la conferenza “100 anni di relazioni diplomatiche tra Italia e la Polonia”. C’è stato poi il concerto per violino e pianoforte con musiche polacche ed italiane eseguito dai maestri Vadim Brodski e Fausto Paffi  che hanno concluso la nostra Assemblea."

”Quali sono gli obiettivi futuri dell’”Associazione dei Polacchi in Italia”?

Urszula Stefanska- Andreini :“I nostri obbiettivi futuri sono sempre gli stessi. Non tutti dobbiamo lavorare nelle organizzazioni, ma tutti dobbiamo lavorare per il  bene comune di noi stessi e delle nostre due patrie, polacca ed italiana”.

Ringraziamo Urszula Stefanska- Andreini per averci concesso questa intervista  e le fotografie dei lavori della XXV Giubilare Assemblea della AGPI che si è tenuta a Roma nei giorni 10 e 11 ottobre 2020.

L’intervista è realizzata da Antonio Mercurio, ne è vietata la riproduzione non autorizzata.

 

 

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